Vi è mai capitato di cercare immagini sui pensionati?
Sono grossomodo come quelle che trovate sopra. No, non riguardano le pubblicità dei presidi medico-chirurgici, la pasta per dentiere, i pannoloni contenitivi. Rappresentano l’immaginario collettivo sui pensionati.
Diciamocelo, non vi ricordano forse il viale del tramonto?
Naturalmente quello dei bisogni e non dei sogni.
Le cosiddette “frasi fatte”
Eppure, surfando nel web, le definizioni che riguardano la vita da pensionati sono più o meno queste:
- il momento perfetto per diventare la persona che avreste sempre voluto essere e fare le cose che avreste sempre voluto fare.
la leva che vi fa vivere con un perenne sorriso stampato sulla faccia. - una fase della vita da riempire con gioia, divertimento, sfide, eccitazione e sperimentazione.
- il momento giusto per seguire i propri sogni.
- un grande attivatore della creatività.
- la possibilità di dare un contributo alla comunità.
E via dicendo.
Vita da pensionati? Qualcosa non torna
Happy Pensy in kayak e durante una manifestazione contro la plastica sulle spiagge
Provate a trovare immagini che parlano dei desideri, delle aspirazioni, dei sogni di pensionate e pensionati. Delle persone che, con le loro azioni (volontariato, mentoring, impegno per cause sociali o politiche), contribuiscono al bene della società. O, ancora, immagini di scambi intergenerazionali in cui persone di età diverse si confrontano e interagiscono. Nemmeno l’ombra.
Pensionata o pensionato fanno rima con anziana o anziano. E tutto ciò che è anziano, non va a braccetto con la narrativa della nostra società che ci vuole giovani a qualsiasi costo.
“Guai al tempo che passa. Orrore!”.
In realtà, quest’inno alla gioventù non corrisponde ad azioni conseguenti. Spesso i giovani vengono “sfruttati” con contratti vergognosi perché privi di esperienza. Come sostiene Lidia Ravera nel suo libro Age Pride, le aziende, con poche eccezioni, mirano a svecchiare l’organico all’uscita dei lavoratori senior. Lo fanno puntando su persone giovani, spesso malpagate, assunte con contratti a tempo determinato.
L’ageismo autoinflitto
Le discriminazioni basate sull’età non colpiscono solo gli adulti, ma quelle nei confronti di questi ultimi sono più contundenti perché hanno un impatto devastante sull’autopercezione.
Quante volte ci siamo detti:
“Ormai non ho più l’età per…“
“Ormai non posso imparare più nulla”
“Non ce la farò mai”
“Sono troppo vecchia o vecchio per queste cose”
Si chiama ageismo autoinflitto. Quel meccanismo sottile fatto di frasi che si sono stratificate nel nostro inconscio da quando siamo nati e che ci fanno sentire assolutamente inadatti a vivere pienamente la vita che abbiamo davanti.
Quello che ci dice cosa possiamo fare o cosa no in base alla nostra età anagrafica. Come ci dobbiamo vestire, come dobbiamo portare i capelli. Quanti strappi ci possiamo permettere sui nostri jeans modaioli a seconda della data di nascita. Come se il nostro gusto di piacerci, e di piacere, debba assecondare la carta d’identità.
I tentacoli dell’ageismo e l’ombra degli stereotipi
Correva l’anno 1959 quando Robert Butler coniò la parola ageismo per definire la discriminazione anagrafica. Secondo Butler, le persone anziane vengono spesso percepite come inutili, incapaci e dipendenti. Questo pregiudizio negativo danneggia la loro autostima e la loro indipendenza.
Nella letteratura americana, viene spesso citato il caso verificatosi nella comunità di Chevy Chase negli Stati Uniti. La cittadinanza si oppose vigorosamente all’acquisto di un edificio residenziale affinché fosse destinato ad ospitare degli anziani. “Chi li vuole tutti questi vecchi in giro?”, fu il leitmotiv delle discussioni fra i cittadini ossessionati dalla paura del “degrado” e la controparte interessata all’acquisto.
Una discriminazione così non si cura di questioni di genere, del colore della pelle, della religione, della classe sociale, dell’orientamento sessuale. L’ageismo colpisce tutti e tutte. Eppure, conosciamo ancora poco questo termine e non ci rendiamo conto di come questa discriminazione possa colpire noi o altre persone.
Iconografie limitanti
Citando Alexa Pantanella, quando vi dicono: “Ci arrivassi io così pimpante alla tua età!” non è un complimento. Questa frase vuol dire più o meno questo:
“Wow, pur essendo in là con gli anni dovresti avere lo stato vitale di un’ameba, ma fortunatamente non li dimostri sei ancora giovanile per fortuna”
Pensateci bene. Suona più come una dichiarazione di guerra. Un autosabotaggio contro noi stessi. Pazzesco, vero?
E ancora, sostiene Pantanella, a proposito dell’iconografia che ci è stata presentata fin da piccoli, pensate se al posto della nonna anziana e malaticcia di Cappuccetto Rosso ci fosse stata presentata una versione più simile a Iris Apfel, l’icona di stile statunitense diventata nota nello spot della Citroen DS3. Il nostro imprinting sull’anzianità sarebbe stato molto diverso.
La nonna di Cappuccetto Rosso vs Iris Apfel
Le cose stanno cambiando? Fortunatamente sì. Si comincia a parlare di un tema che una volta era relegato solo agli spazi accademici. Forse anche il marketing si accorgerà che lo storytelling riguardante la vita da pensionati appare quanto mai anacronistico.
Conclusioni: che fare? Bandiera bianca o lancia in resta?
Mentre saltelliamo fra un’immagine anacronistica e l’altra e scansiamo gli stereotipi che riguardano la vita da pensionati, possiamo prendere consapevolezza di quanto questo fenomeno sia pervasivo.
Riflettiamo su quello che diciamo, sul linguaggio che utilizziamo quotidianamente in modo inconsapevole. Ci sarà utile per prendere le distanze da ogni forma di pregiudizio e svalorizzazione delle persone in ragione della loro età.
Cominceremo, se non l’abbiamo già fatto, a dare un valore alle persone per quello che sono e a liberarci dalle nostre zavorre.
Con il nostro modo di vivere possiamo contribuire al rispetto di tutte le diversità. Possiamo riscrivere, da pensionati, questa fase del nostro percorso rincorrendo le nostre passioni e i nostri sogni senza paura. Come? Semplicemente con la voglia di apprendere cose nuove, con la voglia di frequentare e ascoltare persone di altre generazioni.
Potreste anche decidere di continuare a lavorare. Dipende dal nostro ikigai.
E ora tocca a voi
Ora che avete letto questo articolo, pensate di aver mai pronunciato frasi ageiste? Siete mai stati vittime di ageismo nell’ambiente di lavoro o in qualche altra situazione?
Ciao Happypensy, non ti scandalizzare ma devo ammettere che il pensiero “non ho l’età per fare questo”, piuttosto che “accidenti sono la più vecchia del gruppo, rischio di essere ridicola” l’ho fatto più di una volta recentemente e in quel gruppo mi sono sentita anche a disagio. Sono condizionata da questi pensieri anche quando scelgo l’abbigliamento per andare a correre, per esempio, conscia del fatto che il fisico non è quello di una ventenne e neanche di una quarantennr. Questi pensieri sono frutto di stereotipi e l’io razionale ci soccorre per superarli, ma bisogna passare per un ragionamento, forse addirittura una forzatura.
Ho l’impressione che i giovani siano più flessibili e meno influenzati di noi a questo riguardo forse anche perché tanti della nostra generazione non si fanno vincere dagli stereotipi con cui sono cresciuti e allora cerchiamo di essere emancipati vivendo una vita larga, come l’hai chiamata tu qualche tempo fa.
Ciao Luisa,
Non mi scandalizzo affatto. Lanci la prima pietra chi non ha mai avuto questo tipo di pensieri. Io prendo come modello chi non si lascia condizionare e, quando mi escono involontariamente determinate frasi negative, mi fermo e ci penso su. La consapevolezza di quanto l’ageismo sia pervasivo è già un primo passo verso la liberazione da determinate zavorre. Non so se le nuove generazioni siano poi così libere dai pregiudizi legati all’anagrafica. Sento molte conversazioni di ventenni (almeno quelli che frequento io, figli di amici) che si rapportano agli atri dando molto peso all’anno di nascita…ma può essere un caso.
Per il resto, proseguiamo così, come direbbe qualcuno, sganciando una zavorra dietro l’altra, per realizzare i nostri sogni con determinazione e leggerezza.
Nella società in cui lavoravo, prima che fossi defenestrata a 63 anni, mi facevano sempre sentire age… anche se mi sono sempre dimostrata “curiosa” nell’apprendere nuovi programmi e nuove soluzioni nel mondo del marketing. Tutto questo per i datori di lavoro non contava nulla. Al mio posto hanno assunto una ragazza con uno stipendio molto basso. Per mio carattere non mi fermo ed ora che ho tempo libero, cerco di migliorare il mio golf ed ho iniziato a studiare il Kiswahili. Purtroppo gli stereotipi sugli anziani sono difficili da superare, ma credo che poco alla volta le cose cambieranno.
Ciao Grazia,
La tua storia riflette purtroppo il comportamento imperante nel mondo del lavoro. Nonostante i grandi proclami sull’inclusività, le aziende mettono da parte i senior per assumere giovani spesso con contratti indecenti. Non sarà sempre così, speriamo, ma questo atteggiamento, almeno per ora, è quello prevalente.
Lo sai che pensavo di provare il golf, uno sport che non ho mai praticato? Da quanto traspare dalle tue parole, la tua curiosità, molto vivace e costruttiva, ti porterà a sperimentare diverse cose ancora inesplorate. E quindi avanti tutta!
Grazie molte per la tua testimonianza!